Torna a Squinzano la processione del Venerdì Santo, i ceri illuminano le strade tra dolore e speranza

di Loredana Ruffilli 16 Aprile 2022

Tengono la croce in alto cosicché la folla possa vederla. E accorre, muta, distratta, composta, sfrangiata, corre per assistere al rito, per celebrarlo, subirlo, viverlo.

Ognuno porta la propria croce nelle tasche, ma con gli occhi vuole vedere la croce altrui.
E la folla è pronta, scompostamente pronta, un fiume di occhi e mezzi volti nascosti da maschere inutili come gli alibi. Così gli occhi sanno dirigersi con più velocità, guizzano presenza, mostrano pentimento, sono annacquati di età, stupore, rassegnazione.
Via Crucis. Lenta, lunga, disordinata, come la vita, o come la morte.
Quest’anno Dio ha permesso alla folla di rincontrarsi, ma di ricordarsi della guerra. Così la folla guarda quei due legni incrociati, e ripete la stessa simmetria segnandosi il capo, il petto, le spalle. E pregando cerca di scongiurare il pericolo, così lontano, così vicino.

Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum.
Ecco Cristo morto, ecco quella teca che cattura il dolore della folla, ipnotizzata dalle luci accese nel vetro, un corpo in legno che sanguina come vero, nella memoria di ciascuno. Ecco la folla ha un brivido autentico. E attende.
Lei. Mater dolorosa.
Esce portata a spalla in oscillazioni forti come in un terremoto, oscilla il busto, il velo, e quel fazzoletto ricamato, immacolato, che sfiora la veste di seta nera. Ora si gira verso la teca della morte e la segue, il velo risponde al movimento del vento e l’abito ne segue il ritmo.
L’ombra nera cattura la folla, sembra la madre di un torero appena trafitto, che segue il corpo martoriato, tiene in mano un cuore di lacca rossa, bucato da un chiodo d’oro.
La folla piange e in un fremito improvviso, tiene strette le membra senza vita dei suoi morti, rivede il giorno della separazione, si straccia le vesti all’ uscita del feretro che abbandona la casa, resta sola col puzzo dei fiori, il vuoto del letto, l’angoscia degli oggetti rimasti senza scopo.
Via Crucis. Le case si illuminano nella celebrazione del grande dolore, le strade accolgono piccoli lumi rossi, come la paura, la resistenza, la speranza.
Per ogni tappa il paese svela la sua età, vecchie anime che contano i giorni, piccoli gruppi dietro vetri illuminati, muti e vergognosi, abitazioni importanti ma come monadi, ecosistemi della sopravvivenza. Strade lastricate di buone intenzioni dopo due anni di prigionia, asfaltate di distrazioni, come l’erba che vince qualunque ostacolo.
Via Crucis. La folla osserva benevola persino i vecchi politici, tornati al loro posto nel seguire Cristo morto, che chissà se se ne accorge. Canti religiosi popolari ricordano le colpe, i peccati, le pene, ma tutti, politici e non, pensano alle indulgenze.
Adoramus te…
Su quale stazione deve concentrarsi la folla?
E mentre pensa: “Cristo, aiutami a vedere dove ho più bisogno della Tua grazia nelle circostanze della mia vita. Ti ringrazio, perché mi hai amato così tanto da prendere su di Te la mia debolezza più grande”, si distrae, parla d’ altro, sorride, saluta, esorcizza la paura.
La folla cos’è? … altrettanti poveri Cristi, a macinare chilometri a piedi in una sera in cui la luna piena è velata di nubi come il volto di Maria. Mater lacrimosa.
Si alza per un attimo il vento, in lontananza fischia il treno, come l’urlo soffocato di Maria, che è già sul sagrato a rientrare in Chiesa, e restare finalmente a vegliare il figlio morto.
La folla andrà via e lei scenderà dal piedistallo, si piegherà sulla teca, toglierà il vetro e abbraccerà quel corpo, e i legni di statua saranno carne, lacrime e sangue, mentre la folla sarà già tornata nei propri letti.
Via Crucis.
Cristo perdona la folla, e la ama anche nella sua distrazione, nell’ essere scomposta, incostante, accalcata, eccessiva, ingombrante, peccatrice, rumorosa, perché nel fragore osceno, si innalzano momenti di autentico silenzio e di pura preghiera.

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