Sisinni: "Casalabate, la ridente e florida marina di un tempo, non c'è più. Scenario triste e desolante"

a cura della 05 Luglio 2021

C’era una volta Casalabate, una ridente marina degna di essere chiamata così, caratterizzata dal sole, dal vento di tramontana, dall’acqua azzurra spumeggiante e – la gioia dei bambini! – da ampi arenili con alle spalle le dune,

dove la sera i fidanzati cercavano un po’ di intimità per scambiarsi le effusioni tipiche e incontrollabili dell’età giovanile. Un’età – la giovinezza – felice, immortalata dai poeti. E mi viene in mente la poesia che i professori di allora pretendevano che noi alunni della media e anche delle superiori, mandassimo a memoria: Quant’è bella giovinezza / che si fugge tuttavia / chi vuole essere lieto sia / di doman non v’è certezza.
Casalabate, allora, come spiaggia e quindi luogo di villeggiatura, era più ambita di San Cataldo e anche di Porto Cesareo (Spiaggiabella, Torre Chianca e Frigole non esistevano ancora). Le facevano concorrenza, soltanto, San Foca, Torre dell’Orso, Castro e Otranto per restare sull’Adriatico. Era ben collegata con i paesi vicini: Squinzano, Trepuzzi, Campi e finanche Novoli; tutte tappe del percorso che gli autobus, più volte al giorno, percorrevano, in andata e ritorno. Nella metà degli anni sessanta (forse poco prima) c’era la postazione del Pronto soccorso con attività H24. I primi anni medico di guardia fu, per oltre due mesi (luglio, agosto e metà settembre) un giovane collega, sempre disponibile in quella casetta allocata all’ombra della Casa dell’Abate, dove erano in servizio i finanzieri per controllare i traffici illeciti (quelli di sigarette, la droga allora non esisteva) e la pesca di frodo. Si pensi ancora che negli anni 1957-58 Casalabate fu sede di Colonia estiva, organizzata dal canonico mons. Vincenzo Manca, della Cattedrale di Lecce. E questo negli anni cinquanta e sessanta. Poi, dagli anni settanta in poi, il declino inarrestabile con le case che crescevano di notte, come funghi, in barba alla legge, cioè abusivamente. E da allora sempre peggio. Prima la marina era collegata da un servizio di pullman, in andata e ritorno, più volte al giorno, con Lecce, la città più vicina.
Ad oggi, invece, il Pronto soccorso non c’è. Sosta solo in quel posto un’ambulanza del 118; la farmacia non è ancora aperta, per cui se una persona ha bisogno di un antidolorifico deve recarsi a Squinzano o a Trepuzzi. L’unica cosa che funziona, a mio avviso, è il servizio della raccolta differenziata dei rifiuti, per cui il lungomare e le vie vicine mi sembrano pulite. Le poche spiagge libere, invece, non sembrano sufficientemente pulite; qualche passerella in legno che collega il muretto del lungomare alla battigia, per mancanza di manutenzione, è diventata fragile, instabile, a rischio fratture per le persone anziane. Per concludere, è uno scenario davvero triste e sconsolante. Eppure le tasse da pagare arrivano puntualmente due volte l’anno, a febbraio e a novembre. Come mai? E non si dica che in qualche modo c’entra la mafia con i suoi tentacoli e nemmeno la pandemia da Coronavirus, anche perché da qualche settimana siamo in “zona bianca” e ancora non c’è un manifesto-calendario delle iniziative canoro-musicali che sono la caratteristica dell’estate. A questo punto non rimane altro che portare i registri contabili in procura e dichiarare fallimento (non voglio aggiungere: “per bancarotta fraudolenta” per la mancanza del dolo).

Redazione

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