La storia di un ago che ha cambiato la vita di Maria: il suo riscatto grazie all'artigianato

Ci sono storie incredibili nascoste nella vita di ciascuno, nelle case della gente, nelle corti delle vecchie città, che spesso restano celate a molti, soprattutto se ciò che accade appartiene ad un passato più remoto.

E' facile, così, che giovani e nuove generazioni perdano concetti antichi, insegnamenti, modi di dire, tradizioni e costumi, nonostante il tempo che passa ne imponga sempre di nuovi.
Ecco che quindi, la storia della squinzanese Maria Perrone, 87 anni, da sempre residente a Squinzano, diventa quasi un modo e un pretesto per ritornare simbolicamente e per pochi minuti indietro nel tempo, in un'epoca completamente differente, tanto da apparire a tratti inverosimile ma, proprio per questo, ugualmente interessante. La storia di Maria comincia con il ricordo del padre, falegname, morto quando lei aveva solo quattro anni, e della madre, appartenenti a famiglie benestanti, che decidono di sposarsi quando si accorgono di aspettare un bambino. Ma la felicità dei due sarà presto turbata dagli eventi che da lì a poco sarebbero accaduti. Proprietari di molte terre, beni e campagne, il padre di Maria, per troppa bontà o molta fiducia nel prossimo, comincia a fare da garante per molti amici, parenti o conoscenti, in affari economici e legali, pagando le conseguenze dei loro mancati pagamenti. Da qui l'inferno nella famiglia della donna: "pignorarono tutti i nostri mobili - racconta Maria -; ogni giorno venivano i cosiddetti 'uscieri' e ci portavano via qualcosa. Ci portarono via anche le scarpe; ne avevamo un solo paio e ce lo passavamo tra di noi per poter andare in chiesa. La nostra casa si svuotò completamente, ad eccetto di un letto nel quale si dormiva tutti insieme".
"Iniziò una vita di tibolazioni, - racconta ancora Maria, che ha dovuto continuare a pagare il debito del padre anche a distanza di tantissimi anni - tanto che mia madre perse il bambino che aveva in grembo. Poi siamo nati io, mio fratello e due sorelle gemelle, una gioia per lei nonostante le sofferenze. Mio padre costruiva da sè i nuovi mobili per la nostra casa, ma non potendoli portare a casa chiese al socio della falegnameria nella quale lavorava di poterli lasciare lì".

Il tutto si complica, poi, quando l'uomo è costretto a partire in guerra, nel lontano 1939. Manda una lettera dalla Turchia, che Maria ci mostra con evidente commozione, chiedendo una foto delle figlie gemelle, tanto il desiderio di vederle. Torna in licenza, ma sfortunatamente muore dopo soli quindici giorni per una malattia sconosciuta. "Quella notte fummo portati via da casa, in tutta fretta - ricorda Maria - perchè dovevano disinfettare tutto. Ci accolsero dei vicini di casa, ma a noi quella sembrò quasi una violenza". Dopo la morte del padre, evento luttuoso e profondamente doloroso per tutti, la vita è diventata ancora più complicata. La madre ha dovuto gestire da sola una simile situazione, con quattro figli da crescere e tante terre e campagne da portare avanti. E' qui che entra in gioco la figura di uno zio paterno, che si rende disponibile ad essere il loro tutore. Un grande giocatore d'azzardo e di "nzacchinetta", un gioco di carte (come riferisce Maria), a causa del quale l'uomo "iniziò a vendersi beni, soldi e proprietà della mia povera mamma, così come la pensione di mio padre morto in guerra, fino addirittura a voler impegnare al gioco sia me che i miei fratelli".
La madre allontanerà poi l'uomo dalla sua abitazione, tornando a rimboccarsi le maniche per dare un futuro ai figli e tenere in vita le campagne, preziosa fonte di sostentamento per loro. Per questo fu necessario l'intervento dei "culoni", i mezzadri che lavoravano le loro terre: alcuni volevano in cambio una parte del raccolto, altri, invece, esigevano di essere pagati direttamente con il "mosto". Intanto, su richiesta del falegname socio del padre, sono costretti a prendere in casa anche i tagli di legno su cui lo stesso aveva iniziato a lavorare prima della partenza in guerra e della morte improvvisa. La stanza da letto di Maria si trasforma in una specie di cantina, con botti e barili contenenti mosto in fermentazione, che la notte produceva un odore particolarmente sgradevole; ma non solo: nei ritagli di legno introdotti in casa iniziano ad annidarsi i topi. "Ricordo che la notte salivano sul letto a rosicchiarci i piedi; - dice Maria - mia madre era sveglia tutta la notte, e in più, mia sorella si ammalò proprio a causa dei topi in casa. Fu un periodo di grande dolore e privazioni, quello, in una città bombardata dalla guerra. Ricordo ancora quando, di notte, uscivamo da casa per rifuguarci in un sotterraneo vicino, per poi uscirvi la mattina seguente, mentre la guerra esplodeva sulle nostre teste"- conclude Maria, guardandosi spesso intorno, in una casa dove "ogni cosa mi ricorda quello che abbiamo patito".

"A 13/14 anni, poi, essendo quasi un'adulta per quei tempi, imparo a cucire per contribuire alla salvezza della mia famiglia, e inizio a racimolare un pò di soldi; - continua il racconto di Maria spezzato dall'emozione - ho cominciato a lavorare per molte spose, giocando anche in Borsa dopo essermi iscritta all'ente degli Artigiani. Insegno poi taglio e cucito ad alcune ragazze, arrivando anche ad aprire una piccola fabbrica industriale, aiutata dal Senatore Pulli, vicino casa mia, dove lavoravano una quindicina di ragazze". Maria comincia così a riprendere in mano la sua vita, partecipando anche a tante mostre del lavoro artigiano di cui ci mostra fiera le foto, lavorando tutto il giorno e rinunciando anche a tutto ciò che la vita poteva offrirle, per dedicarsi completamente a quella causa: risollevare le sorti della famiglia e ridare dignità alla sua casa, trasformando un'abitazione piena di barili e topi in una casa vera e propria, degna di essere chiamata tale.
"La vita non è stata buona con me, soprattutto dopo l'ultima batosta, quando non ho potuto nemmeno prendermi la mia parte di eredità e i mobili appartenuti a mia madre, che mi sono stati negati ingiustamente da altri eredi. Ma oggi posso dire di avercela fatta, al di là di tutte le privazioni, le umiliazioni, le rinunce, i dolori e i maltrattamenti. L'ago è stata la mia industria, il mio più potente strumento, con il quale mi sono realizzata creando da sola tutto ciò che oggi ho. Tutto questo l'ho fatto con piacere" - conclude Maria, che nel 2000 ha svolto servizio di volontariato a Roma a stretto contatto con il Papa, una delle poche squinzanesi ad aver vissuto una tale esperienza, della quale è molto orgogliosa. "Non ho mai avuto paura durante questo mio percorso e questi anni complicati e saturi di lavoro, perchè anche se ho perso mio padre a quattro anni, lui non mi ha mai lasciato la mano, proprio come un angelo custode. Vorrei che questa storia facesse capire l'importanza dell'artigianato e dia il giusto valore agli antichi mestieri, dimostrando come a volte, un attrezzo così piccolo come un ago, possa cambiare la vita di tantissime persone dando una svolta ad un passato travagliato e difficile come il mio".

Ilaria Bracciale

Redattrice

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(Henri Bergson)

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