Silvia e Stefania raccontano il dramma della mamma morta di SLA e ringraziano i medici, i loro "angeli custodi"

Ci sono storie che, pur nella loro drammaticità, riescono a lasciare un segno positivo nelle persone che le vivono, anche a distanza di tempo.

A raccontarci la storia di una lunga malattia, di un grande dolore, ma anche di un caso di buona sanità, sono le sorelle squinzanesi Silvia e Stefania Daga, che poco più di un mese fa hanno perso la madre, Lucia Ampolo, a soli 67 anni, dopo quasi tre anni di lotta e di "guerra" contro la malattia. Una malattia degenerativa, quasi subdola, perchè tende a peggiorare gradualmente, talvolta anche "senza far rumore", ma debilitando la persona e privandola anche delle sue capacità primarie quasi senza rendersene neanche conto.
La storia della signora Lucia, OSS all'Ospedale di San Pietro Vernotico, inizia circa tre anni fa, quando dopo uno svenimento ed un numero infinito di controlli anche presso il reparto di Malattie Rare dell'Ospedale di Milano, le viene diagnosticata la SLA, Sclerosi Laterale Amiotrofica, la malattia dei motoneuroni che, attaccando le cellule nervose che si occupano dei movimenti, compromette in maniera irreversibile la capacità di muoversi. Una diagnosi che piomba come un fulmine a ciel sereno nella vita della famiglia che, almeno inizialmente, nasconde alla madre la sua malattia, e che presto si ritrova a vivere in un "inferno". Un inferno fatto di visite, controlli medici, referti sconfortanti, dolore, incertezza, paura. La famiglia della signora Lucia si trasforma così in un esercito di combattenti che non si è mai arreso, soprattutto dopo l'incontro con i suoi "angeli custodi". E' così che Silvia e Stefania chiamano i tanti medici, infermieri ed operatori sanitari che si sono occupati della signora Lucia in questo lungo calvario, a cominciare dal dottore squinzanese Roberto Pulli, Direttore del Distretto Socio Sanitario di Campi Salentina, presente fin dall'inizio della malattia e vicino alla famiglia sia a livello medico che umano, insieme all'assistente Fortunata De Santis. Fondamentale e prezioso, poi, l'incontro con il servizio ADI (Assistenza Domiciliare Integrata) alla quale vengono affidati affinché la signora Lucia venisse curata a casa circondata dall'amore dei suoi parenti nel caldo ambiente della propria abitazione. Un'equipe di operatori sanitari che ha rappresentato per tutti una vera e propria rivoluzione in una situazione completamente nuova, dolorosa e drammatica, una vera e propria ancora di salvezza che ha dato la forza al marito e alle figlie della signora Lucia di andare avanti e continuare a combattere. Loro sono Maria Regina Pulli, Coordinatrice del Servizio ADI, l'infermiera Tiziana Maggio, la fisioterapista Cristina Muci che due volte a settimana si occupava della riabilitazione fisica, gli infermieri Giuseppe Perrone e Mario Quarta, che ogni giorno venivano accolti in casa loro per le cure e le medicazioni necessarie. Ad alternarsi nell'assistenza quotidiana anche le OSS Lucia Scalinci, Romina Quarta e Morena Carriero. Allo stesso modo disponibili e sempre presenti anche il medico di famiglia, la dottoressa Giovanna De Luca, e il medico rianimatore personale, dott. Andrea Tarantino, che non hanno mai fatto mancare il loro supporto, i loro consigli e la loro assistenza h 24. Fu proprio il dottor Tarantino, come raccontano Silvia e Stefania scavando dolorosamente ma anche con grande dignità in questo lungo e doloroso percorso, a dire loro un giorno: "siete entrati nel mio cuore, siete come una famiglia per me". Professionalità, presenza costante, freschezza, sostegno, assistenza ed umanità. Un concentrato di energia per chi a lungo deve combattere una battaglia, a volte sconosciuta, imprevedibile, piena di ostacoli e poco clemente. "Angeli custodi" li chiamano quindi le due donne che. attraverso un mezzo di comunicazione quale questo, gridano il loro grazie a quanti gli sono stati vicini, regalando anche alla madre, nell'ultimo periodo ormai allettata e incapace di parlare ma abile ad esprimersi anche solo muovendo gli occhi, piccoli istanti di felicità e tranquillità, con carezze e slanci d'affetto che riempiono il cuore e che al giorno d'oggi un pò ci sorprendono, sovvertendo le regole e scardinando la convinzione che ormai sotto un camice bianco si trovino solo cuori anestetizzati e poco attenti alla sfera emotiva. Silvia e Stefania oggi ci raccontano che non è così e che la buona sanità esiste ancora; questi medici hanno dimostrato che prima di curare la malattia, è importante amare la persona, perché solo la vicinanza, la presenza e l'amore incondizionato possono lenire l'angoscia e rendere più sopportabile l'inferno della malattia.

Ilaria Bracciale

Redattrice

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(Henri Bergson)

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